Lettera Pastorale del Vescovo Aurelio Bacciarini - 4 Gennaio 1921

Il Beato Manfredo Settala

Carissimi Diocesani,
Sono ritornato in Diocesi da quindici giorni, e vi sarete giustamente meravigliati perché non
vi ho ancora rivolto il mio saluto, dopo otto mesi di forzata assenza.
Dal compiere questo atto di paterno affetto mi trattenne sin ora un motivo assai grave.
Durante la mia lunga infermità ho riflesso, dinanzi a Dio, alla mia responsabilità di vescovo,
e alla mia incapacità a portarla, tanto più dopo che i medici mi hanno dichiarato che per
molto tempo non mi sarà consentito di riprendere il ministero della predicazione.
Mosso da queste considerazioni, dopo avere raccomandato a Dio me e la mia cara Diocesi,
ho rassegnate le mie dimissioni nelle mani del S. Padre, il Papa, pregando che, per il miglior
bene della Diocesi, fossero definitivamente accettate.
E attendevo, prima di rivolgervi la parola, che venisse la risposta del Vicario di Gesù Cristo.
La risposta mi giunge oggi. Il S. Padre mi dichiara che, considerate tutte le mie ragioni
dinanzi al Signore, è volontà sua che io resti al mio posto, anche colle condizioni di salute
che non permettono la predicazione e le funzioni Pontificali. Contro la volontà del Papa,
che è volontà di Dio, non farei un passo, anche a prezzo della vita. E quindi oggi stesso
riabbraccio la mia povera croce e riprendo la direzione della Diocesi inviando un cordiale ed
affettuoso saluto al mio Clero dilettissimo ed a tutti i miei cari Diocesani. Tolga Iddio che la
mia rinuncia alla Diocesi sia stata motivata da minore affetto verso di voi; a questa mi
mosse unicamente il Pensiero della mia insufficienza, e della impotenza a compiere tutto il
mio dovere, particolarmente quello gravissimo della predicazione e della visita pastorale.
Il Signore ha disposto diversamente, e non mi resta che adorare le divine disposizioni e
ripigliare il mio pastorale ufficio, dolente di non poterlo compiere che in parte, sino a tanto
che a Dio non piacerà di ridonarmi tutta intera la salute.
Non mi è tuttavia possibile rientrare al governo Diocesano, senza prima ringraziarvi, Diocesani
carissimi, delle preghiere incessanti che avete innalzate al Signore per me, nel corso della mia
infermità e nel tempo della mia assenza. Chiunque voi siate, sacerdoti o laici, uomini o donne,
giovani o fanciulli, che avete levato al cielo la voce della vostra Preghiera, per chiamare le
misericordie di Dio sopra questo povero vescovo, così bisognoso del divino aiuto, siate
benedetti e siano i vostri nomi dagli angeli registrati negli annali della carità più preziosa, come
sono scritti nell'anima mia. E i luoghi da cui è partita così figliale preghiera, sieno chiese o
chiostri, capanne di poveri o dimore di ricchi, abbiano in ricompensa il sole di ogni grazia, la
rugiada di ogni benedizione e la pace del Signore vi regni, consolatrice di ogni affanno.
E come professo pubblicamente la mia gratitudine alla cristiana pietà alla Diocesi, così mi è
grato di testimoniare la mia riconoscenza ai distinti medici, che mi curarono con amore
commovente ed alle buone Suore Domenicane di Ilanz, che mi ospitarono a Davos
gratuitamente, con carità insigne.

Dio renda a tutti degna mercede e ricompensi colla sua grazia quanti ebbero pensiero o
interessamento per me. Particolarmente Iddio rinumeri col premio che Lui solo può dare il
mio degnissimo Vicario generale e quelli che lo coadiuvarono nel portare saggiamente il
peso del regime diocesano, durante la mia assenza.
Certo che il dovere della riconoscenza , che mi stringe dolcemente il cuore, mi rende più
vivo e più sentito l'obbligo, già inerente alla mia missione, di spendermi tutto intiero per il
bene della Diocesi.
Si è voluto ancora, in questo tempo di mia assenza, costituire un comitato per celebrare la data
del mio giubileo sacerdotale, che cade in questo anno. Benché io sia profondamente sensibile a
queste attestazioni di affetto, la voce del ringraziamento mi si spegne sul labbro, e non mi esce
che la preghiera a desistere, tanta è la confusione che mi ricopre il capo, pensando, anche solo
lontanamente, ad una festa che, comunque, riguarda la mia indegna persona.
Trovi Iddio, nella sua infinita sapienza, una via, che, senza amareggiare i promotori ed il
popolo, risparmi a me tal confusione, e mi riserbi solo la grazia di piangere nel silenzio i
peccati della mia vita trascorsa, e di pensare ai piedi della croce alla santificazione del mio
avvenire, breve o lungo che sia per essere.
E veramente in questo tempo di infermità mi è apparso più vivo il quadro del passato e più
grave mi si è presentato il pensiero dell'avvenire, denso com'è di responsabilità per un vescovo.
Anche la visione più chiara della brevità della vita e dell'approssimarsi inesorabile della
morte e del giudizio di Dio, da cui dipende la eternità, mi ha richiamato all'esame di me
stesso e mi ha suggerite considerazioni ben gravi.
Confido tuttavia nella bontà del Signore, e nell'aiuto della sua grazia; confido nelle vostre
preghiere, Diocesani carissimi, che spero vorrete caritatevolmente continuare, anzi raddoppiare
poiché le mie presenti circostanze hanno pure raddoppiato il fascio delle mie necessità.
Sopra tutto confido nella vostra corrispondenza. Non vi ha conforto maggiore per un
pastore di anime, che la docilità del gregge nel seguire gli insegnamenti della Chiesa, le vie
del bene, la strada della salute eterna.
E perché possiate mettervi in cuore questa generosa disposizione io vi addito un modello
stupendo da imitare in quel grande servo di Dio che è il Beato Manfredo Settala, della cui
morte benedetta si celebra solennemente il settimo centenario Domenica prossima, nove
corrente, nella insigne Parrocchia di Riva S. Vitale.
Molti di voi forse sentiranno per la prima volta questo nome caro e santo, perché il culto di
questo eroico penitente non è esteso ancora a tutta la nostra Diocesi.
Ma è pur vero che il Beato Manfredo Settala è una gloria nostra, tutta degna di essere posta
in luce al cospetto delle presenti e delle venture generazioni.
Nato nel secolo XII da nobilissima famiglia Milanese, Manfredo Settala disprezzò per
amore di Dio gli agi e le lusinghe di una carriera terrena, e si consacrò al Signore nello stato
ecclesiastico. Fu sacerdote di austera virtù e Parroco in una Parrocchia a noi vicina, a
Cuasso al Piano, in prossimità di quel ramo del Lago di Lugano che tocca Porto Ceresio.
Vi ha tra questo uomo di Dio e il nostro Beato Patrono, Nicolao della Flüe, una
somiglianza mirabile, in quanto che, come il santo eremita di Saxseln, Manfredo Settala
sentiva le attrattive celestiali della vita di perfetta solitudine. Rapito da tali attrattive che
sono privilegio della grazia e dono incalcolabile, Manfredo Settala lasciò la cura della
parrocchia e si ritirò sul monte San Giorgio, che domina il lago di Lugano e scende, con
lento declivio a toccare i paesi di Meride per un versante, e di Brusino Arsizio per l'altro.
Sulla cima isolata di quel monte sorgeva una piccola chiesa, dedicata al martire San Giorgio;
e fu accanto a quella chiesa che il santo solitario stabilì la sua dimora sino alla morte.
Visse di preghiera incessante e di penitenza eroica.
La vetta di quel monte è sacra, e dovrebbe essere guardata con venerazione da noi tutti, per
le orme sante che vi impresse il piissimo eremita, per le lagrime di cui la bagnò, per gli slanci
con cui si elevò a Dio nelle sue aspre e dolci veglie, per la scuola di vita eterna che lassù egli
aprì a tutte le generazioni, insegnando col suo esempio il disprezzo del mondo e l'amore di
Dio, la mortificazione della carne e la santificazione dello spirito, la immolazione quotidiana
per la espiazione dei peccati del mondo e per la salvezza degli erranti.
Morì il 27 Gennaio 1217. Alla sua morte segni prodigiosi commossero le popolazioni di
quei tempi di tanta fede.
Una costante e limpida tradizione, sicuro cardine della vera storia, ci ha tramandato il
miracolo che operò Iddio, allo scopo che la salma del suo servo fedele, fosse trasportata e
conservata nella chiesa della Parrocchia di Riva S. Vitale, la cui circoscrizione comprendeva
allora anche il monte San Giorgio.
La salma del santo eremita fu infatti collocata sotto l'altare maggiore della mentovata chiesa
e glorificata da Dio con grazie segnalate.
Per il corso di sette secoli le popolazioni di Riva San Vitale e dei paesi all'intorno
venerarono quelle sante spoglie con divozione costante, invocando Manfredo Settala col
nome di Beato, e celebrando solennemente la sua festa il 27 gennaio di ogni anno.
I Vescovi di Como approvarono questo culto e visitarono l'urna del Settala colla pietà stessa
e colla venerazione con cui si visitano i sepolcri dei santi.
Anche i Vescovi del Ticino, miei venerati predecessori, hanno impressa la loro
approvazione al culto del Beato Manfredo.
E quanto a me, sono felice di proclamare al cospetto della Diocesi la mia fede nel culto di
questo grande e generoso servo del Signore.
Già da semplice sacerdote, più volte. confuso fra la pia folla del mio indimenticabile popolo
di Arzo o del buon popolo di Riva, mi sono inginocchiato presso l'urna del Beato,
pregandolo come si pregano i santi della Chiesa di Dio.
E fatto vescovo, ricordo con gioia come nei primi mesi del mio episcopato, mi sono recato in
rapido, ma memorabile pellegrinaggio alla tomba del Settala, quasi a chiamare sopra di me,
vescovo novello e bisognosissimo, e sopra la Diocesi mia, gli sguardi di così santo Patrono.
Dico che fu quello un pellegrinaggio memorabile, perché io ebbi allora il bene di
accompagnare alla tomba del B. Manfredo il successore di S. Carlo Borromeo, il Cardinale
Andrea Ferrari, il quale, reduce dalla visita pastorale in Val Solda, non volle rientrare in
Milano senza prima fermarsi a visitare devotamente le spoglie del santo Eremita.
In questi stessi giorni il santo Arcivescovo di Milano lotta fra la vita e la morte, o meglio
commuove Milano e l'Italia intera coll'esempio delle sue virtù e colla più edificante
preparazione al gran passo della eternità. Ma anche quando il grande pastore sarà chiamato
al premio eterno, né io né clero né il popolo, che lo vide inginocchiato accanto all'urna del
Beato, potremo giammai dimenticare questo atto di tenera e profonda pietà, che suffraga
autorevolmente il culto del nostro ammirabile Solitario.
Io però non mi posso tener pago di professare la mia divozione al Beato; io devo, coll'aiuto
di Dio, trasfonderla in tutti i miei cari Diocesani e far in modo che il Beato abbia in tutta la
Diocesi quel culto, col quale sono onorati il B. Pietro Berno e il Beato Nicolao della Flüe.
Perciò, in questa data centenaria, io offro al Beato come omaggio mio, la promessa di fare
sollecitamente le necessarie pratiche presso il Vicario di Gesù Cristo, affinché la sua
suprema parola sanzioni una maggiore estensione del culto del Beato stesso, essendo giusto
e doveroso che questo santo, donato misericordiosamente da Dio alla patria nostra, sia
collocato sul candelabro di una luce più vasta.
Forse, e senza forse, Iddio si è riservato di far conoscere maggiormente questo santo penitente,
proprio in questi nostri miseri tempi, perché i suoi esempi sieno a tutti monito salutare.
Il S. Padre, il Papa, nella sua allocuzione di Natale agli Eminentissimi Cardinali, ha
enumerati i mali che travagliano la povera società moderna: e tra questi mali primeggiano il
disconoscimento del fine nostro sopranaturale e la sete del piacere.
Purtroppo anche in mezzo al nostro popolo si dimentica la meta ultima e lo scopo supremo
della nostra vita: e anche in mezzo al nostro popolo, specialmente fra la gioventù, si fa
strada il pagano amore del divertimento e del piacere.
Bisogna contrapporre a così rovinose massime gli insegnamenti del Vangelo, il quale proclama
la necessità suprema della salute dell'anima, nel disprezzo generoso e forte delle fallaci lusinghe
della terra. Tali insegnamenti il Beato Manfredo incarnò mirabilmente nella sua vita di orazione
e di penitenza: voglia Iddio che il suo eroico esempio trovi generosa imitazione!
Io non propongo già alla vostra imitazione, carissimi Diocesani la vita solitaria e la preghiera
estatica del Beato, doni straordinari, più da ammirare che da imitare: propongo invece alla
vostra buona volontà il suo spirito di preghiera, che eleva a Dio, nostro fine ultimo, il suo
spirito di mortificazione, che crocifigge le passioni, nemiche avvampanti della eterna salvezza.
Io piango di dolore al vedere la dimenticanza di Dio e la corsa sfrenata verso le fallaci
promesse del mondo.
Cari Diocesani, ricordatevi che abbiamo un Dio da servire e un'anima da salvare; ricordatevi
che presto finisce la vita e rapida si avanza la morte; ragionate come il B. Manfredo e
assicuratevi una eternità felice, vivendo cristianamente.
Con questo voto, io mi inginocchio ai piedi del nostro Beato dolcissimo e invoco la sua
benedizione per me, per voi, specialmente per la nostra cara gioventù, perché non si lasci
fuorviare dalle massime del mondo, e si tenga inviolabilmente stretta al timore di Dio,
principio della sapienza, scudo della virtù, tutela della famiglia, difesa della patria terrena e
caparra della patria eterna.

Lugano, 4 gennaio 1921

+ Aurelio, vescovo Am.Ap