Omelia per gli 800 anni dalla morte del Beato Manfredo

Carissimi,
non so se ve ne state rendendo conto, ma non è per nulla scontato quello che stiamo vivendo. Pensate! ll 27 gennaio del 1217 chiudeva gli occhi alla luce di questo mondo il beato Manfredo Settala, uomo di silenzio, di solitudine e di preghiera. Oggi, esattamente ottocento anni dopo, ci ritroviamo in questa chiesa di Riva, che ne custodisce le spoglie, per farne memoria, per lasciarci illuminare dall’esempio della sua vita santa e per chiedere al Signore di fare conoscere al nostro cuore in maniera efficace il segreto della misteriosa fecondità di un cammino umano a dir poco singolare.
Come spiegare tutto questo? Siamo soliti definire la nostra come un’epoca distratta, superficiale, frenetica. Ci riteniamo perlopiù incapaci di comprendere il senso di un’esistenza di cui non si vedano immediatamente i successi, l’incisività, la produttività. Eppure, siamo qui, dopo tanto tempo
dalla scomparsa di un semplice prete ambrosiano ritiratosi senza alcun incarico pastorale sul Monte San Giorgio, e siamo affascinati da un modo di essere e di vivere la vocazione cristiana in apparenza del tutto estraneo alla nostra maniera abituale di affrontare la realtà.
Oso proporvi una possibile chiave di lettura: forse, l’istinto più profondo del nostro cuore, alla fine, è molto più intelligente, molto più perspicace e acuto, di quella razionalità e di quella prontezza, di cui in questo nostro mondo ci riteniamo campioni.
Un uomo come il beato Manfredo ce Io fa sperimentare ancora oggi.
Basta entrare in contatto con la sua figura per renderci conto della possibilità che costantemente il Signore ci offre: vivere, non tanto altrove o in un altro ma qui e ora, altrimenti, a partire da dentro, dall'intimo, da quel punto inaccessibile di noi stessi, dove cessa il nostro sforzo titanico di tenere insieme tutti i pezzi della nostra vita complicata e cominciamo a ricevere gratuitamente e senza condizioni il dono di Cristo, l’unica realtà che ci fa veramente vivere e ci custodisce come persone in comunione e non più come individui isolati e senza speranza.
È la prima parabola di Gesù nel Vangelo di questa mattina. Una parabola che illustra perfettamente l’atteggiamento di fondo che rende così attraente la Vita dl un eremita: egli è davvero l’uomo che ha scoperto la gioia impagabile dl potersi pienamente abbandonare alla forza originaria del seme divino deposto nella sua terra. Certo, la vita umana comporta sempre molto lavoro, molto Impegno, molta fatica. ll campo deve essere dissodato, preparato, liberato dal sassi, dai rovi e dalle spine. Una volta però che il seme è gettato, l’agitazione o la preoccupazione non servono più a nulla. Il cuore deve lasciarsi semplicemente educare dal tempo che passa, lasciarsi spogliare da ogni pretesa di dominare, di controllare, di possedere sia il dinamismo di crescita che di maturazione della propria vita. “Il seme germoglia e cresce.
Come, egli stesso non lo sa”.
Carissimi amici, quanta volontà di potenza dietro le nostre ansie, dietro le nostre frustrazioni, dietro il nostro sentirci inutili e incapaci! Vorremmo sapere tutto dello svolgimento della nostra vita e, siccome ci risulta impossibile, diventiamo preda della tristezza. La prima cosa che ci ricorda il solitario cristiano è questa: non lasciamoci scandalizzare dai tempi in cui abbiamo l’impressione
che nella nostra vita non accada niente. Dio agisce continuamente, anche e spesso a nostra insaputa, dentro la nostra vita. Riconoscerlo non ci umilia, ma ci umanizza, ci fa abitare meglio il presente, dà un respiro nuovo alla nostra vita.
Sicuramente niente ci permette di scappare dalla constatazione della nostra piccolezza, del nostro limite, dell’innegabile esiguità dei mezzi a nostra disposizione. Non passa giorno, senza che ne facciamo la dolorosa esperienza.
Ci sono ovviamente molti segni di bontà, di bellezza, di verità nel nostro quotidiano, ma come ci sembrano poveri e insignificanti! Chissà quante volte lo hanno fatto notare al beato Manfredo: egli rinuncia ad una posizione di sicuro prestigio nel mondo per dedicarsi all’apparente inutilità di un ascolto della Parola in disparte e di un’intercessione nascosta!
Eppure già durante la sua vita tutti hanno potuto constatare la meraviglia: “il granello di senape, che, quando viene seminato sul terreno, e il più piccolo di tutti i semi”, poi però “cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra”. Quanta gente ha trovato conforto presso la minuscola cella dove dimorava Manfredo! Un essere umano che accoglie realmente e cordialmente lo Spirito di Cristo, per quanto minimo, non fa mai nulla che non abbia una risonanza senza confini. Nella sua irrilevanza rispetto ai criteri mondani, diventa uno spazio immenso di ospitalità e di riposo per tutti!
Naturalmente, questo non avviene in un giorno. Occorre l’attraversamento delle stagioni fredde e dei campi desolati, delle contraddizioni e delle fatiche. Ce Io ricorda la prima lettura. Con il passare del tempo e il succedersi degli avvenimenti, spesso si affievoliscono i fervori degli inizi. La scena entusiasmante della partenza, con i suoi slanci e i suoi domani che cantano, progressivamente si offusca. Anche qui però la vita dell’eremita diventa un faro luminoso, che serve a tutte le altre vocazioni da orientamento preziosa ll solitario è infatti per eccellenza l’uomo del combattimento e della perseveranza.
È uno specialista in quella lotta - direbbe Papa Francesco — per non farsi rubare la speranza. Nel nostro contesto, dove si cerca in tutti i modi di convincere le persone che niente di durevole e di stabile possa essere realizzato nella vita umana, tutto sembra in balia dello stato d’animo o dell’emozione del momento. Non e così. Uomini come il beato Manfredo mostrano che, per quanto sfilacciata possa essere la trama della nostra vita, ci sarà sempre Io spazio in noi per richiamare alla memoria i primi giorni del nostro impegno, per ravvivare la fiamma delle nostre scelte originarie di vita.
Si tratta davvero di imparare a resistere alla fluttuazione incessante dei pensieri, delle sensazioni, delle impressioni epidermiche. Occorre apprendere l’arte preziosa che ci insegna a radicarci sempre più profondamente nella realtà che non passa, nei “beni migliori e duraturi”, che sono la nostra vera sostanza.
“Noi non siamo di quelli che cedono, per la propria rovina, ma uomini di fede per la salvezza della nostra anima”.
Carissimi, sono passati ottocento anni dal giorno in cui il beato Manfredo ha compiuto il passaggio da questo mondo al Padre. Anche se storicamente sono pochi i dati certi a nostra disposizione, i tratti luminosi della sua figura non hanno cessato di dare ispirazione a uomini e donne di ogni tempo.
Anche nei nostri giorni, un giovane presbitero ambrosiano, don Michele di Monte, autore del bel racconto della vita del Beato Manfredo appena uscita, ha cominciato a camminare mettendo i piedi nelle orme lasciate dai suor passi !
C’è davvero da augurarsi che recandoci qui in pellegrinaggio non ci Iimitiamo alla curiosità e allo stupore per un percorso umano fuori dal comune, ma ci lasciamo davvero interpellare, concretamente e personalmente, nel nostro modo di vivere il battesimo e la nostra particolare vocazione cristiana.
I santi non ci sono dati da Dio semplicemente per essere abbagliati dal loro fulgore e sentire tutta la nostra mediocrità. Sono uomini e donne come noi.
Hanno vissuto in una carne segnata dalla debolezza e dal peccato. SI sono però lasciati purificare e trasfigurare dalla misericordia del Signore. lsacco di Ninive, grande solitario e maestro di solitari dell’antichità cristiana, ne era convinto. “È bene — diceva — che il solitario sia tutto intorno a sé, per chi lo guarda, una visione che incoraggia. Cosicché, per le sue molte bellezze, che come raggi di sole risplendono tutto intorno a lui, anche i nemici della verità, pur senza volerlo, confessino che i cristiani hanno una speranza degna di fede”.